mercoledì 16 settembre 2009

Dietro il teatrino di “Porta a Porta”

In tempi più crudeli e men feroci il Duce si affacciava dal balcone di piazza Venezia e parlava alla folla osannante. I giornalisti convenuti stendevano i loro resoconti e li inviavano ai giornali di regime. Negli anni Trenta del Novecento l’EIAR, ente radiofonico di Stato, aveva cominciato a diffondere i discorsi del capo del Governo, che però giungevano soltanto a quelle classi alte che potevano permettersi il lusso di avere l’apparecchio radio in casa. Fortunatamente la dittatura non aveva pensato a mettere in circolazione le radio a costi popolari e accessibili a tutta la classe medio bassa d’Italia. L’unica forma di indottrinamento popolare erano dunque i tre anni di scuola elementare obbligatoria, grazie ai solerti maestri, e le manifestazioni folcloriste dell’apparato fascista, dalle sfilate dei piccoli balilla ai premilitari del sabato pomeriggio.
Oggi, in tempi men crudeli e più feroci, ogni giorno le televisioni del regime pubblico e privato ci spacciano con frequenti piccoli dosi le loro porzioni di velenose menzogne. Ma come se non bastasse, periodicamente il Cavaliere si siede nella poltrona dello studio televisivo di “Porta a Porta” e per tre ore parla affabilmente a milioni di telespettatori, già rintontiti dalle quotidiane falsità dei mass media. Questa volta il Cavaliere, invece di parlare a reti unificate, onde raccogliere una più alta audience, ha scelto di cancellare le altre trasmissioni politiche che andavano in onda contemporaneamente. Fortunatamente la tattica non ha avuto successo, perché solo tre milioni di italiani, di cui almeno un terzo lo hanno stoicamente ascoltato per necessario dovere, sono stati a fare i babbei davanti allo schermo.
L’apparizione di ieri sera si è confermata come quello spottone governativo, auto celebrativo e privo di un contraddittorio. Il teatrino di “Porta a Porta” non ha subito neanche piccole modifiche. C’è il conduttore, che chissà perché si chiama Vespa e non Leccalecca, che da buon maggiordomo introduce i monologhi berlusconiani, facendo finta ogni tanto di punzecchiare; ci sono i servizi televisivi, per niente inquietanti, a preambolo dei monologhi; vi è il sondaggista, che ci propina i sondaggi pre confezionati e graditi al Papy; c’è un piccolo coro di giornalisti, i quali si sono impartiti domande per niente compromettenti; vi è il collegamento esterno con una autorità economica-politica compiacente; e infine c’è pure un pupazzo in forma di antagonista, che lo contraddice a mezza bocca, incapace di pretendere la parola quando viene più volte interrotto per disarticolargli i suoi già mezzi disanimati argomenti.
Tuttavia si è avvertito nella trasmissione di ieri sera un tono più dimesso, meno improntato a quel trionfalismo che caratterizza Berlusconi da un quindicennio. LUI, anche se lo nasconde in tutti i più piccoli gesti e monosillabi, è seriamente preoccupato, perché avverte che si stanno facendo manovre dentro la sua casa, e a parte i fidi leghisti che abbaiano alla secessione quando vogliono un po’ più di privilegi personali, l’ex camerata Fini si sta mostrando troppo inquieto e risoluto a prendere la guida del Popolo delle Libertà. Fini, forse, si è davvero stufato a continuare la sua parte di Ciano del Regime, pronto ad ereditare le redini del governo solo a seguito di decesso del Cavaliere. Se Berlusconi non si decide a lasciargli le redini di questa povera Italia il mai dimenticato pupillo del fascista Almirante minaccia l’edificazione di un nuovo polo centrista, insieme a Casini e a Rutelli, alternativo all’asse Bossi-Berlusconi. L’edulcorata guerra intestina è già cominciata con la querela contro Vittorio Feltri, che ha provato a fermare Fini con le minacce di clamorosi scoop scandalistici.

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