domenica 19 ottobre 2008

La piazza può fermare il regime

Venerdi 17 ottobre ho partecipato a Roma allo sciopero generale indetto dai Cobas, Cub, Sdl contro il decreto Gelmini e la precarizzazione della società italiana.
E’ stata una grande manifestazione, c’era un corteo di circa trecentomila persone che ha sfidato dapprima un brutto temporale e poi una insidiosa pioggerellina. Quando la testa del corteo è arrivata a San Giovanni, la coda era appena partita dal quartiere Termini. I manifestanti venivano da tutte le province d’Italia e non appartenevano solo al mondo della scuola, ma erano operai licenziati o cassintegrati, impiegati del settore pubblico e della sanità, disoccupati cronici, lavoratori precari, studenti senza speranze e senza futuro, e perfino rappresentanti dell’Alitalia, altezzosi nelle loro belle divise. C’erano i bambini che facevano dei commoventi girotondi sotto la pioggia, stretti stretti nei loro ombrellini, non trascinati a forza come hanno detto i giornali del regime, ma al seguito dei loro genitori, delle loro famiglie. E qua e là sventolavano, è vero, tante bandiere rosse col simbolo della falce e martello, e si agitavano gli striscioni degli anarchici, educati e composti come frati barbuti.
Gli adulti avanzavano passo passo, un po’ tristi ma decisi. C’era un bel vecchio alto, con tutti i capelli lunghi e bianchi, dignitoso ed elegante come un vecchio poeta d’altri tempi. C’erano i curiosi, i passanti che si soffermavano a guardare e poi si univano al corteo. C’erano mamme giovani che tiravano baldanzose le carrozzine dei loro pupi, avvolti nell’incerata; c’erano altre mamme senza bimbi, o nonne che s’erano appiccicate al petto slogans di protesta come “Un popolo ignorante è facile da governare”, “il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini”, che esibivano quasi furtivamente; c’erano quelli che seguivano in bicicletta, sotto un manto impermeabile; c’erano i medici e gli infermieri della Sanità Pubblica, coi loro camici bianchi, preceduti da un autoambulanza bardata di striscioni. E c’erano quelli come me che correvano di qua e di là a scattare foto o a far riprese video. C’era un muro di poliziotti alla coda del corteo, e pattuglie in borghese che vigilavano tutte le strade di accesso al corteo. Non ho visto nessun provocatore, nessun agitatore, nessun pazzo o infiltrato. Soltanto mi sono imbattuto in un isolato cinquantenne, tutto rasato e vestito di nero come un naziskin, che elogiava con un acre quanto sconsiderato rimpianto i bei tempi di Stalin e di Mao.
I giovani li avevano messi in coda al corteo, prossimi alle pattuglie delle Forze dell’Ordine, perché si sa che sono più intemperanti. Eppure mi sembrava che partecipassero alla sfilata con una serietà e una disciplina encomiabile, seppure tra improvvisate gag carnevalesche e gli incessanti comizi che affidavano agli altoparlanti, coi proclami a resistere, a contrastare irriducibilmente la sciagurata riforma Gelmini. Giunti all’incrocio tra via Merulana e via Labicana un’ala di questi giovani si staccò, e, come si seppe in seguito, cambiò inaspettatamente percorso e giunse fino a Trastevere, sotto il palazzo del Ministero dell’Istruzione, dove improvvisò un sit-in di protesta.
Ciò che mi apparve evidente in questa manifestazione fu la presenza femminile, forse superiore a quella maschile. Interi striscioni erano portati da ragazze tra i sedici e i venticinque anni, per niente affatto con quell’aria cupa o spiritata dei rivoluzionari. Altre ragazze giovani guidavano i loro gruppi o si sgolavano ai megafoni, invitando ad una mobilitazione e ad una occupazione permanente dei licei e delle università. Avevano l’aspetto di brave ragazze che si svegliano finalmente dall’incantesimo di Mediaset e capiscono che le classi dirigenti le hanno fregato il futuro.
Intanto verso mezzogiorno aveva smesso di piovere e il cielo si apriva a lembi di azzurro. Sul piccolo palco di San Giovanni avevano cominciato ad alternarsi rappresentanti delle scuole, dei giovani, dei sindacati. Ma pochi li stavano ad ascoltare attentamente. Non era importante sentire cose già note, ma esserci, dare un forte segnale al governo con la presenza fisica ed una pacifica e numerosa protesta. Per questo motivo il prossimo 30 ottobre nessuno si deve tirare indietro. Lo sciopero, l’occupazione delle piazze è l’unica arma che ci è rimasta per poter fermare legalmente le devastazioni governative. Solo un popolo succube e ignorante può accettare la trasformazione della scuola pubblica in una associazione privatistica, con conseguente riduzione di 200.000 posti di lavoro e il taglio di 8 miliardi di euro per poterli donare ai prìncipi del sistema bancario truffaldino, ai bancarottieri di professione dell’Alitalia e di altri enti pubblici, ai manigoldi manager e consulenti professionali. Molte persone pensano – e non hanno tutti i torti – che lo sciopero serva solo ai sindacati confederali per poter dimostrare di esistere, fregandosene poi della povera gente. Ma è anche vero che una bassa percentuale di scioperanti può legittimare il governo Berlusconi a proseguire implacabilmente. Altrettanto vero che una sconfitta dei sindacati confederali in questa contesa li renderà vieppiù deboli, e non più credibili agli occhi dei vari ceti sociali. In definitiva se il governo dovesse uscire vincente da queste mobilitazioni, sarà impossibile fermare e rendere reversibile un regime che contende al regime fascista il primato della dittatura più feroce. (Foto di Gualdo Anselmi)

1 commento:

Grilliviterbesi ha detto...

La nostra lotta non si deve mai fermare e ogni volta che è necessario bisogna farsi sentire. La cosa più sbagliata sarebbe far finta di niente e dire... tanto non sono un insegnante...
Domani però potrebbe toccare a chiunque di noi e potremmo essere soli..
Grazie Gualdo.