giovedì 13 agosto 2009

Raccolta differenziata, cultura ecologica

L’immondizia o il rifiuto come dir si voglia, è emerso come gravissimo problema nazionale soltanto tra l’estate del 2007 e la primavera del 2008, contemporaneamente a quella crisi di governo che provocò la caduta anticipata dell’ultimo governo Prodi. Le strade dell’hinterland di Napoli per mesi e mesi furono piene di immondizie, poiché il ciclo di svuotamento dei cassonetti si era interrotto a causa della mancanza di discariche adeguate e per l’opposizione dei comitati dei cittadini che si opponevano alla costruzione di inceneritori inquinanti.

Per la verità la situazione anomala del territorio campano aveva uno strascico quasi trentennale. Nel 1994, per affrontare l’emergenza rifiuti, era stata istituita la figura di un commissario straordinario, che in 23 anni non aveva saputo risolvere la crisi ma era stato fonte di ulteriori sperperi di denaro pubblico. Nel corso di quell’estate, a seguito di vari esposti, la Magistratura accertò che dietro la raccolta di spazzatura prosperava tutto un sistema di arricchimento illecito, una sistema di corruzione tra imprenditoria, spesso mafiosa, e gestori della Cosa Pubblica: il rinviò a giudizio del Presidente della Regione Campania, già ex commissario. fu accolto come una liberazione.

Le continue immagini delle strade invase da cumuli di spazzature, le sommosse spontanee dei cittadini, i quotidiani servizi giornalistici, contribuirono a creare se non una cultura ecologica, una maggiore attenzione alle problematiche connesse con il territorio e la gestione dei rifiuti.

Una soluzione ottimale par lo smaltimento dei rifiuti - onde evitare che finiscano in modo indifferenziato nelle discariche, oppure vadano a bruciare negli inceneritori e termovalorizzatori, rilasciando nell’aere anidrida carbonica e nano particelle che si annidano nei nostri polmoni, diventando causa di tumori - da diversi decenni è risultata in tutti i paesi ragionevoli del pianeta, la raccolta differenziata: separazione dei rifiuti, riciclo della carta, della plastica, del vetro, dei metalli; compostaggio dei rifiuti organici o vegetali per farne fertilizzanti o energia; trattare con cautela i rifiuti pericolosi e velenosi.

Una prima blanda normativa , preludio del riciclaggio, risale ai primi anni Ottanta. Ma è solo nell’ultimo decennio che le istituzioni centrali e periferiche, hanno messo in vigore normative più valide a tutela dell’ambiente e per la raccolta differenziata.

La normativa del 2006 riguardo la raccolta differenziata pone ai comuni d’Italia degli obiettivi da raggiungere entro date scadenze temporali. Per il 31 dicembre 2009 l’obbiettivo è la percentuale del 50% sul totale di immondizia prelevata e portata nelle discariche.

Secondo una indagine istat , pubblicata nei giorni scorsi e relativa a 111 comuni capoluogo monitorati nel 2008, la raccolta differenziata risulta cosi suddivisa: nelle città del nord pari al 39,9%; in quelle del Centro pari al 25,5%; in quelle del Mezzogiorno pari al 14,5%.

La raccolta differenziata presa in esame è composta prevalentemente di carte e cartoni (37,3%), di rifiuti organici, verdi e legnosi (29.6%), di vetro (12,2%), di altro, tra cui le plastiche per il 5,3%., i metalli per il 3,1% e lo 0,2 per le pile esauste e i medicinali.

Sono stati soltanto 27 i Comuni che hanno raggiunto l’obiettivo del 45%, fissato dalla normativa per il 2008, tutti del nord, con l’eccezione di Lucca, Salerno, Tortolì Ogliastra, rispettivamente al 45,3% , al 48,9%., al 62,5%. Tra i migliori figurano Verbania al 73,5%, Novara al 72,4%, Asti al 63,4%. Viceversa sono 24 i comuni che registrano una percentuale inferiore al 15%, tutti del centro sud. Tra i peggiori ricordiamo Messina al 3,1%, Iglesias al 3,8%, Palermo al 4,6%, Napoli al 14,5%.

Come faranno questi Comuni eslegi a raggiungere il nuovo limite del 60%, fissato per il 2011 e già raggiunto da molti Comuni virtuosi del Nord?

Se restringiamo l’indagine al Lazio la situazione è sconfortante. Nessuna città capoluogo ha raggiunto il 45%. Meglio di tutti fa comunque Latina, con il 30,6%; a seguire Roma con il 19,5%, Rieti con il 13,2%, Frosinone con il 12,8%, Viterbo con il 12%.

Non sono riuscito ad acquisire le percentuali di tutti e i 60 comuni viterbesi, forse nessuna istituzione ha pensato a compilarle; ma da fonti stampa delle scorse settimane appare evidente che se Viterbo schifeggia, nei piccoli centri di Monterosi, Oriolo Romano, Acquapendente, non solo si è varcato il limite della normativa, ma si è travalicato il 60%. Soltanto Nepi, rimane un po’ indietro al gruppetto di testa, avendo registrato il 54,8%. Tutti gli altri sono decisamente sotto il 45%.

Lo scorso settembre l’amministrazione provinciale aveva concesso dei contributi per raggiungere quota 50% , ma risultati più favorevoli si potranno vedere solo il prossimo anno.

Ciò che manca nel viterbese ed esiste nei comuni del nord, seppure in una maniera non del tutto soddisfacente, è una coscienza e una cultura ecologica delle pubbliche amministrazioni, che in un qualche modo riescono a sensibilizzare i cittadini.

Finché i bambini e i ragazzi delle scuole impareranno a pappagallo le favolette della religione cattolica, ma rimarranno del tutto privi di una cultura civica ed ecologica, anche quando saranno adulti, penso che il pianeta terra sia visto ancora come una specie di illimitata pattumiera, da saccheggiare o riempire di veleni.


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