domenica 17 febbraio 2008

Le ragioni del degrado fabrichese



Venti, trenta anni fa circa
Se venti trenta anni fa circa, quando il paese era più piccolo e composto di famiglie originarie, la vita appariva più noiosa, erano comunque minori i quotidiani pericoli e violenze. Le fabbriche sparse sul territorio garantivano un’ampia occupazione di manodopera locale e un tenore di vita decoroso. Oggi che le industrie locali stanno smobilitando del tutto e crescono la disoccupazione giovanile e il precariato adulto, sempre maggiori casi di disagio sociale e di generica delittuosità ci offrono un quadro sociale non proprio edificante.
Tra la fine degli anni Settanta del Millenovecento ed oggi tante famiglie contadine divenute operaie hanno venduto i loro terreni per ricavarne un utile, e in questo modo hanno troncato un legame millenario con la terra, non solo di tipo culturale (pensiamo alle ricche tradizioni popolari, fatte di canzoni, proverbi, storie) ma anche di tipo economico. Lo sanno bene quelle famiglie che ancora integrano le entrate di un lavoro impiegatizio con il ricavato della produzione delle nocchie o delle olive, per non dire della conduzione degli orti, che sorreggono non poco il bilancio familiare.

Il decadimento dell'agricoltura
A differenza di altri paesi dei monti Cimini, ove nonostante lo sviluppo del terziario sono ancora numerose le famiglie che vivono prevalentemente di agricoltura, a Fabrica sono rimaste non più di una decina di aziende agricole. Se negli altri paesi della bassa Tuscia il mestiere di agricoltore viene ancora tramandato all'interno delle famiglie – perfino nelle più industrializzate Nepi e Civita Castellana - qui a Fabrica sono una rarità i giovani sotto i trent’anni che posseggono l’arte georgica cantata dal poeta Virgilio.
Come dicono i vecchi se dovesse scoppiare una guerra, oppure una grave calamità, i giovani d’oggi perirebbero tutti, non sapendo sopravvivere senza i rifornimenti dei supermercati alimentari.

Quartieri spacciati come residenziali
Ad ingrossare una comunità che ha perso il contatto con la realtà agricola e non ha saputo sviluppare una alternativa nell’artigianato o nella piccola industria, è stato il massiccio arrivo di colonie di romani transfughe dalle periferie metropolitane, che negli ultimi venti anni si sono stabilite qui perché hanno trovato a buon mercato delle case in quartieri spacciati come residenziali, ma privi dei servizi essenziali. Ricordo, per inciso, che i fabrichesi da moltissimi anni pagano i servizi per il depuratore, che non esiste, poiché i lavori di realizzazione sono stati annullati nei primi anni Novanta del secolo scorso. Aggiungo che al Parco Falisco – circa 1000 abitanti - il Comune si rifiuta di fare certi pubblici lavori perché sostiene che esso è un consorzio privato. E che dire della Scuola d’Infanzia, un mostro di cemento costato 1 miliardo e mezzo di lire, mai portato a termine e adibito alla meno peggio come rimessa per automezzi. Per non parlare della svendita di terre di uso civico, per antichi diritti inalienabili, su cui sono state fatte convenienti lottizzazioni. E l’archivio storico, adibito ad ufficio per pratiche agricole e centro d’igiene mentale, quando l’amministrazione dispone di un palazzo comunale ampio e di un altro ex palazzo comunale di 300 metri quadri chiuso al pubblico?

Responsabilità delle amministrazioni comunali
Le amministrazioni municipali che hanno amministrato Fabrica dalle prime libere elezioni del 1947 ad oggi sono le principali responsabili dell’abbandono della coltura e della cultura agricola.
Pochi paesani sanno che il Comune di Fabrica, fin dalla costituzione dell’abitato intorno all’anno Mille, è possessore di estesi boschi e terreni, tra cui i 200 ettari della tenuta del Quartaccio. Ebbene, le amministrazioni di centro destra, succedutesi dal 1947, hanno concesso la tenuta a famiglie forestiere, negandole a famiglie fabrichesi.
Nel 1997 la famiglia Capati di Civita Castellana per la tenuta del Quartaccio pagava un affitto annuo di circa 1 milione di lire, quanto la bellezza di cinquant’anni prima. Fu solo dietro una mia pubblica denuncia che il Sindaco Palmegiani si decise a far salire di poco l’affitto. Ma il capolavoro lo fece Scarnati, che nel 2005, a un anno dalla scadenza di un fasullo contratto di affitto con la famiglia Capati, decise di entrare in possesso subito di metà del terreno coltivabile, circa 35 ettari, cedendo gli altri 35 ettari ai Capati per 35 anni, escludendo ancora una volta i fabrichesi.
Adesso i 35 ettari, nonostante richieste precise del locale presidente della Coldiretti, non si sa bene a chi sono stati concessi e con quali criteri.
In effetti, come ha rilevato il giornalista Giorgio Renzetti del Messaggero, “ai fabrichesi, storicamente, il senso di appartenenza alla comunità ha sempre fatto difetto. Farsi gli affari propri, tranne poche eccezioni, è la regola.”

Il miraggio del piano regolatore
Se il geometra Palmegiani è riuscito ad affermarsi come Sindaco per ben quattro volte ciò è dovuto ad una velleitaria opposizione di sinistra degli ultimi venti anni, che ha combattuto le persone libere e critiche nell’ambito del centro sinistra, spianando così la strada al suo cosiddetto oppositore politico. E poi il miraggio del Nuovo Piano Regolatore, che, puntualmente, alla vigilia di ogni tornata elettorale, viene usato dai Sindaci come jolly: infatti una estesa e sconsiderata elevazione dell’indice di fabbricabilità viene ripagata col voto. Ma puntualmente la Regione Lazio boccia i progetti, perché redatti in violazione delle norme regionali e nazionali. La progettualità fasulla dei piani regolatori credo che finora sia costata qualcosa come 1 miliardo delle vecchie lire.
In questo contesto di speculazioni edilizie, di case e casaletti condonati, di un entourage di costruttori e amministratori imparentati tra di loro, è naturale che il Palmegiani possa permettersi di cominciare le pratiche per costruire un termovalorizzatore, ossia una specie di incenitore dei rifiuti, proprio nella tenuta agricola del Quartaccio. Ricordo che anche i termovalorizzatori sono pericolosi per la salute, poiché diffondono nell’aria microparticelle che riescono a superare i filtri dei polmoni, rendendosi responsabili della formazione di tumori. Un incenitore al Quartaccio sarebbe esiziale più per i corchianesi e i civitonici che per i fabrichesi, dal momento che la tenuta è molto più vicina agli abitati di questi paesi che a quello di Fabrica.

Cronaca nera alla ribalta
Insomma se le amministrazioni pubbliche degli ultimi venti anni non hanno fatto altro che occuparsi di lottizzazioni, trascurando la cultura attiva, ossia quella degli artisti e intelletti locali, considerando i problemi sociali una palla al piede, come possiamo stupirci se il paese sale alla ribalta nazionale con episodi poco edificanti? La mini gang che da mesi stava compiendo atti di conclamato teppismo e che cerca di stuprare ragazzi più piccoli, il disagiato che maltratta la madre e forse la lascia morire, sono la classica punta di iceberg di un tessuto sociale, di un paese che ha perso una sua identità, che non è città e non è paese, e sopravvive come un mero distretto giuridico.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che fare per questo degrado? Che ci proponi? Perché i partiti dell'opposizione se ne stanno zitti?