domenica 18 maggio 2008

Prove di regime

Il fascismo fu una dittatura non solo perché instaurò un regime giuridico fondato sul partito unico, che trasformò in reato la facoltà della pubblica critica, ma anche perché si servì delle famigerate squadracce per stroncare il dissenso.
Dopo l’ingloriosa fine del fascismo seguì un cinquantennio di governi cosiddetti “democratici”, i quali, se non si possono definire dittature nel senso formale del termine, lo furono di fatto in una particolare forma moderna.
I governi dei partiti capeggiati dalla Democrazia Cristiana misero in piedi non solo un sistema clientelare - a cui associarono lentamente ma progressivamente l’opposizione di sinistra, lasciando fuori gli irriducibili detrattori ideologici e le persone patologicamente incapaci a chiedere favori - ma crearono un senso di paura nella classe media per mezzo della strategia degli opposti estremismi, il cui fine era quello di indurre il popolino a cercare conforto in quel che fu il partito della Chiesa.
Anche se a tutt’oggi non possiamo avere delle prove sui mandanti della “strategia della tensione” - quella che a partire dal 1969 e per un intero ventennio insanguinò l’Italia con le bombe sui treni, alle stazioni, nelle piazze, nelle banche - le stragi di innocenti ebbero anche l’efficacia di dirottare l’attenzione della magistratura dal corpo corrotto dello Stato ad un fantomatico nemico esterno allo Stato. Corollario della strategia non poteva essere che la progressiva eliminazione di quei politici, di quelle personalità di quei magistrati che avevano capito il trucchetto, la perversa alleanza tra potere politico e poteri forti – e l’epilogo lo avemmo nel 1992, quando fecero saltare in aria i magistrati Falcone e Borsellino.
In definitiva l’arma delle stragi di stato – quasi unanimemente così definite dalla pubblicistica e dalla storiografia - fu incommensurabilmente più diabolica delle armi fasciste, al cui confronto i manganellatori in camicia nera ci appaiono poco più che dei bulli malcresciuti.

Il cinquantennio della mala partitocrazia si concluse intorno al 1994 con l’apparire del pool di magistrati di Milano, che diede una scossa agli apparati della Giustizia, generalmente ammaestrati dai prefetti a perseguitare i poveri cristi.
E’ da quella data che stiamo assistendo ad un quindicennio di confusione, causato dalla rottura della “perversa alleanza” tra potere politico e poteri forti, ossia i poteri finanziari, i poteri industriali, i poteri giudiziari, i poteri sindacali, i poteri mediatici, i poteri vaticani, i poteri mafiosi.
Negli ultimi quindici anni hanno cercato di farci credere che qualcosa di nuovo e di giusto fosse entrato nella politica nazionale: laLega Nord, la bandiera azzurra di Berlusconi, il faccione di Prodi o quello marziale di Fini. I più entusiasti hanno salutato l’avvento del quindicennio addirittura come una seconda repubblica, soltanto per il fatto che gli avanzi della prima si erano divisi in due contrapposte coalizioni, imponendo una nuova regola elettorale.
Le due coalizioni, nate più che altro per contrastarsi a vicenda, prive di coesione ideale, non potevano reggere più di tanto.
Veltroni e Berlusconi nei mesi scorsi hanno trovato un accordo per smantellare i due poli e ricostruire le reciproche alleanze nell’interno dei propri partiti. In questo modo hanno isolato e reso ininfluenti le ali ideologiche di destra e di sinistra.
Va da sé che seppure il progetto non prevede una esplicita ricostruzione della “perversa alleanza” tra potere politico e i poteri forti dianzi citati, i due leader politici non hanno l’energia per poterlo contrastare. Ne abbiamo avuto avvisaglie nell’impunità del sistema bancario, che sta strangolando milioni di famiglie; ne abbiamo avuto degli indizi nelle industrie, che stanno trasferendo le proprie strutture nei paesi dove la manodopera è a basso costo e possono realizzare maggiori profitti; lo presagiamo nell’intimidazione dei magistrati e dei giornalisti che mettono il naso negli affari dei partiti; lo avvertiamo nell’indifferenza della triplice alleanza sindacale, che se ne frega di tutelare gli stipendi e la salute dei lavoratori; lo sospettiamo nella massiccia ingerenza vaticana, che vorrebbe cancellare le giuste conquiste laiche del secondo dopoguerra; lo deduciamo dal sospettoso silenzio della mafia, che aspetta solo un segnale per poter liquidare alla sua vecchia maniera gli affari sporchi dei partiti.
Quando una dittatura è costretta ad usare le maniere forti per poter perpetuare il suo potere è un regime che funziona male. La dittatura perfetta è quella dove a precisi imput del potere scatta una generale autocensura da parte dei cittadini, che in questo modo si trasformano in utili sudditi.
Un tempo, quando il popolo era analfabeta e “ignorante”, non esistendo efficienti mezzi di comunicazione di massa, rimaneva difficile comandarlo a distanza. La coercizione doveva essere fisica, individuale o a piccoli gruppi. Oggi, che una istruzione di massa ha fornito il popolo di strumenti per poter capire i comandi dei mass media, bastano i comunicati dei telegiornali o dei salotti telepolitici per impartire l’ordine alla diligenza e al conformismo.
La dittatura perfetta abbisogna di giornalisti che accettino di buon grado il loro ruolo di spacciatori di notizie tendenziose, piuttosto che di commentatori di libere notizie. Ed è quello che i manovratori del nuovo ordine sociale stanno tentando di fare.
Ho come il sospetto che Marco Travaglio sia stato invitato apposta nella trasmissione “Che tempo che fa”, con la speranza che dicesse quello che pensa da anni e avere il pretesto subito di denunciarlo e propagandare sui mass media un sentimento di paura nella categoria giornalistica, onde far scattare il meccanismo psicologico dell’autocensura. Abbiamo tutti veduto il terrore negli occhi del povero Faziofabio, il quale, per non apparire un fiancheggiatore di Travaglio, non solo si è subito dissociato, ma il giorno dopo ha chiesto pubblica scusa per averlo invitato. Qualcosa di simile è accaduto ad “Annozero”, dove Michele Santoro, dopo aver trasmesso una puntata dedicata a Beppe Grillo, è stato deferito all’autorità di viale Mazzini. Un dejavu era già andato in onda qualche anno fa, quando Berlusconi aveva cercato di emarginare – e quindi attentare alle loro autorità morali – prima Indro Montanelli, poi Enzo Biagi. Ammaestrare i campioni del giornalismo italico, farli scodinzolare nel suo privato circo televisivo, avrebbe avuto l’effetto di indurre ad un generale asservimento della categoria giornalistica.
Fu Stalin ad affermare di volerne punire uno per “educarne” centomila? Ebbene, la dittatura perfetta non ha bisogno del bastone per persuadere, né delle stragi di Stato per impaurire, ma di una schiera di mediocri e prezzolati disinformatori. Le prove di regime sono appena cominciate.

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