lunedì 4 agosto 2008

I bambini di Chàvez: un importante studio di Manuel Anselmi

All’inizio di questo anno 2008 la casa editrice FrancoAngeli ha pubblicato un libro, “I bambini di Chàvez”, opera prima del mio quasi omonimo e concittadino Manuel Anselmi, giovane docente di sociologia generale presso l’Università di Cassino.
I bambini a cui si riferisce il titolo sono gli scolari della repubblica venezuelana, guidata ininterrottamente dal 1999 dal presidente Hugo Chàvez Frias.
Lo studio di Anselmi, ben documentato e scritto in una prosa limpida e scorrevole, si propone il fine di evidenziare la permeabilità della rivoluzione culturale nelle istituzioni scolastiche primarie, riformate appositamente da Chàvez per meglio trasmetterne i valori. Siffatta rivoluzione si fonda essenzialmente sulla figura mitica ed eroica del patriota latino-americano per eccellenza, Simon Bolivar, a cui fa da complemento una ideologia socialista stemperata di marxismo. Lo stesso Chàvez, se non avesse utilizzato in buona fede il mito di Bolivar, profondamente radicato nella cultura popolare dell’America Latina, non avrebbe potuto avere quel consenso che gli ha permesso di prendere il potere e di mantenerlo fino ad ora.
Il lavoro di Anselmi si divide in quattro capitoli. I primi tre capitoli ci introducono all’argomento generale dell’ideologia, all’analisi socio-storica del bolivarismo, ai fondamenti pedagogici di esso.
Se la rivoluzione culturale bolivariana ha il precipuo fine di contrastare l’omologazione culturale statunitense e dunque occidentale, riferendosi a modelli culturali “diversi”, anche provenienti dalla tradizione indigena, la scuola bolivariana, basata su di un progetto elaborato dal pedagogo Carlos Lanz Rodriguez, insieme ad altre figure di eminenti intellettuali, non può esserne che il più giusto strumento di attuazione. Esemplificativo al riguardo il seguente passo, estratto dal ProyectoEducativo Nacional: “Anche da un punto di vista culturale la scuola che proponiamo è una cellula di costruzione della identità nazionale, perché nel recuperare collettivamente la sua storia, scopre e preserva le sue radici, le tradizioni e le lotte nazionali per l’emancipazione. In questa stessa ottica è uno spazio di resistenza culturale e di contro-egemonia, perché a partire da piani differenti (nel lavoro cooperativo, nella ricreazione e nelle attività ludiche, nel lavoro artistico come il canto, la musica e la poesia, tra gli altri) fronteggia la penetrazione di valori e di saperi stranieri”.
Il quarto capitolo è il risultato di una ricerca sul campo, effettuata dallo stesso Anselmi nello stato Lara del Venezuela, visitando 15 scuole bolivariane e somministrando sia agli scolari di queste, sia agli scolari delle private, una serie di questionari atti a rilevare il grado di adesione all’ideologia e alla rivoluzione didattica nella scuola primaria.
L’Anselmi ci informa anche sulla struttura architettonica e sull’organizzazione didattica degli istituti. “Esiste un modello generale di struttura delle scuole bolivariane, che prevede una pianta rettangolare lungo il cui perimetro sono disposti quattro o più prefabbricati di un piano, non uniti, ciascuno dei quali ospita un certo numero di aule, la biblioteca, la direzione, i bagni.. Al centro c’è uno spiazzo, fornito di una copertura a tettoia, che serve per le attività comuni. Solitamente, un po’ più lontani, sono collocati i padiglioni della cucina e quello della palestra, mentre, vicino agli uffici della direzione, vi è spesso una stanza dedicata all’infermeria. Le scuole più fornite prevedono anche un orto, una sala attrezzata per l’informatica ed internet…Una escuela bolivariana deve infatti prevedere una giornata scolastica di otto ore, di sessanta minuti ciascuna, dove durante le prime cinque si segue il curricolo nazionale, mentre nelle due ore e mezza pomeridiane (mezz’ora è dedicata al pranzo) vengono svolte discipline e attività artistiche, artigianali, folcloriche o sportive stabilite localmente….Da un punto di vista delle strutture la escuela deve disporre degli spazi necessari per tutte le attività che si possono svolgere durante le otto ore: oltre alle aule è necessario che vi sia almeno una palestra, una biblioteca, una cucina. Ogni escuela include una scuola materna da 3 a 6 anni e la scuola elementare da 6 a 12 anni, secondo il sistema nazionale che, a differenza di quello italiano, non contempla le scuole medie, ma il diretto accesso al liceo.”
Dall’esame dei questionari si delinea un quadro che non ha profondamente assorbito l’ideologia culturale chaveziana, anzi con dei sintomi di insofferenza per il regime. Molto probabilmente la scuola venezuelana è una parte della vita quotidiana del bambino, per cui nella restante parte del giorno – e ciò vale anche per gli adulti – egli resta esposto alle ideologie indirette della civiltà dei “gringos” (così vengono chiamati gli statunitensi ed estensivamente gli occidentali di lingua inglese) per mezzo di tutto un sistema mass mediatico ed economico che lo plasma e lo condiziona più della scuola. Infatti, afferma e conclude Anselmi: “Mentre invece proprio i bambini sono quelli che paiono mostrarsi più politicamente opportunisti e capaci della più grande beffa al disegno ideologico: recepiscono chi sono gli amici e i nemici dell’ideologia, ma desiderano innanzitutto una sicurezza e una vita, diremmo noi, borghese, nient’affatto rivoluzionaria. Ai propositi di trasformazione programmata della realtà avanzati dall’ideologia, gli alunni costituiscono un vero e proprio elemento di indeterminazione e di possibile sovvertimento.”
In definitiva, da questa ricerca dell’Anselmi, traiamo degli elementi che ci fanno guardare con positività all’esperimento della rivoluzione culturale chaveziana, che indubbiamente cerca di sottrarsi ad una planetaria omologazione culturale ed economica. Personalmente penso che la proposta culturale più interessante – ma non ho capito bene se imposta o facoltativa – sia quella di adeguare un percorso didattico mirato alla ricerca di una identità etnica e nazionale distrutta dalla cultura dei gringos.
Qui in Italia, con la “riforma Berlinguer” del 2000, anche se non previsto esplicitamente da nessuna norma, si cercò di introdurre nei piani dell’offerta formativa la valorizzazione della storia e delle tradizioni locali, esperimenti molto spesso falliti a causa dell’impreparazione degli insegnanti istituzionali e all’incapacità di aprirsi al localismo. Eppure io sono convinto che soltanto agganciandosi alla cultura locale e agli intelletti vivi e operanti sul territorio, vi possa essere una speranza di contrastare la globalizzazione planetaria.
Il libro di Anselmi ha dunque una sua doppia importanza: perché evidenzia quei temi che ogni politico di buona lena dovrebbe affrontare, quali i valori dei bambini, l’educazione scolastica, il potere dei mass media; perché affronta con gli strumenti del sociologo un tema spurio, quale quello dell’ideologia, che, seppure al centro dei dibattiti culturali e fonte di innumerevoli studi negli anni settanta del secolo scorso, oggi si ha paura quasi a nominare. Eppure oggi come non mai una mascherata e innominabile ideologia ci viene inculcata in ogni attimo della nostra giornata attraverso l’onnipotente persuasione dei mass media e dell’impero semiotico della realtà quotidiana. L’appendice del libro, una bibliografia ragionata afferente i principali studi su ideologia ed educazione pubblicati nel secolo scorso, cerca di riaprire un discorso prematuramente e pretestuosamente rimosso dalla coscienza collettiva. (Nella foto il prof. Manuel Anselmi)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Volevo chiedere al signor Gualdo se avesse mai fatto un viaggio in Venezuela o se avesse mai parlato con persone venezuelane a riguardo dell'educazione.....se sì, cosa ha trovato di interessante? Ha davvero potuto percepire che la volontà chavista sia una novità? Una spinta in avanti? Una risposta all'egemonia?