lunedì 2 febbraio 2009

La poesia è morta, la poesia è viva

Quando nel novembre del 1975 lo scrittore Alberto Moravia tenne l’orazione funebre in morte del suo amico Pier Paolo Pasolini, con la sua voce un po’ sfiatata e accorata disse che era scomparso un grande poeta, e in ogni nazione, in ogni secolo, non nascono più di quattro o cinque grandi poeti.
In effetti, in Italia, anagraficamente, Pasolini fu uno degli ultimi grandi poeti italiani del Novecento: conservatore della tradizione e autentico sperimentatore stilistico.
A differenza del cinquantennio compreso tra la nascita dello stato italiano e l’avvento del fascismo, in cui nacquero almeno una decina di grandi poeti in lingua (Saba, Montale, Ungaretti, Caproni, Penna, Bertolucci) ed altrettanti in dialetto (Noventa, Tessa, Marin, Trilussa), il quasi secolo, compreso tra la nascita di Pasolini (1922) ed oggi, ha espresso poeti interessanti, ma non grandi poeti, di quelli che superano i millenni ed entrano in una ideale antologia. Se devo aggiungere che i poeti più interessanti, che comunicano vere emozioni, sono oggi da annoverare tra gli epigoni dei poeti dialettali (Guerra, Zanzotto, Loi, Baldini, Scataglini) mi rimane difficile conteggiare una rosa di nomi nati dopo il 1945 che si sono staccati dal pantano degli stucchevoli informalismi. E poi se veramente dobbiamo essere sinceri i cantautori italiani (Tenco, Paoli, Guccini, De Andrè, Battiato, soltanto per fare alcuni nomi) sono stati , sono ancora, i veri poeti popolari, che riescono a raggiungere il cuore delle persone di media e alta cultura, rifuggendo dalla banalità o dal vacuo intellettualismo. Spesso i loro versi sono autentiche ed alte poesie, che riescono ad imporsi senza l’ausilio della melodia. D’altronde se tante canzoni, per essere più seducenti hanno bisogno di una melodia, ricordiamoci che la poesia, per millenni e millenni, dai lirici greci al rinascimento, nacque e sopravvisse fino a noi come testo di un canto, di un rigo musicale semplice, tramandato a memoria. Anche il massimo poema cerebrale della nostra civiltà italica, ossia la Divina Commedia, veniva cantato dal popolo - ed io personalmente posso darne testimonianza, avendo ascoltato nella mia adolescenza diversi pastori dell’agro falisco cantare sulla melodia del canto in ottava rima lunghe terzine dantesche.
Non credo che il sentimento della poesia sia morto. E’ la civiltà in cui viviamo, il materialismo, il pragmatismo, l’opportunismo imperante, la burocrazia degli insegnanti istituzionali, la mediocrità delle istituzioni culturali che soffoca o emargina gli autentici poeti. Forse tra venti o trent’anni scopriremo una pattuglia di grandi poeti, nati dopo il 1945, che ha operato, scritto e magari anche pubblicato senza raggiungere la notorietà. Un tempo i vari Alberto Moravia, Vincenzo Cardarelli, Eugenio Montale, che non avevano un curriculum da laureati, si sono ugualmente imposti, mentre oggi i curriculum dei mediocri, infarciti di lauree a medio o lungo termine, di specializzazioni, di attestati, forse mettono nell’ombra le opere dei poeti o degli scrittori più autentici. Non posso dimostrarlo razionalmente, ma sento nel mio intimo che quando in una società o in una civiltà muore la poesia, quella stessa società o civilizzazione è sulla via del disfacimento. I secoli bui sono solo tristi secoli bui, in cui le capacità più alte dell’essere umano sono rattrappite dai poteri iniqui, dalla mancanza di libertà, dalla povertà, dalla paura, dall’ignoranza. Non basta avere una parabola sul tetto di casa per sentirsi uomini liberi, se poi con questo ordigno tecnologico captiamo tutte le schifezze che ci intossicano l’anima. Stanno sparendo definitivamente quelle piccole gioie millenarie che appartenevano agli uomini antichi: gli odori degli ambienti rurali, la meraviglia nei mutamenti stagionali, la percezione stessa della natura. Forse stiamo vivendo già tra mutanti e le mie note sono il segno clinico di uno di quegli ultimi uomini che non si rassegnano a lasciare il pianeta in mano agli stupidi razionalizzatori.
(Nella foto il poeta Pier Paolo Pasolini)

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