mercoledì 3 novembre 2010

L'Italia è finita


Se l’Italia è finita anche gli italiani non esistono più e si è perso l’autentico carattere italiano, improntato sulle culture regionali


L’americanizzazione dell’Italia cominciò il 4 giugno 1944, quando le truppe statunitensi entrarono in Roma e i soldati gettarono cioccolate e caramelle alle donne e ai bambini. Lo stereotipo di Alberto Sordi nel film Un americano a Roma del 1954, riflette in modo parodistico un vero atteggiamento delle generazioni giovanili, precedenti e successive, nei confronti della nazione vincitrice, portatrice di progresso e modernità.

L’Italia uscì vinta dalla seconda guerra mondiale e la sua ricostruzione economica fu foraggiata dal piano Marshall, per mezzo del quale le imprese statunitensi si introdussero in Italia e in Europa e divennero multinazionali. Con i prodotti industriali e commerciali giunsero anche i prodotti culturali. Si impose così il mito americano, basato sulla modernità, sull’ottimismo, sulla ribellione, sulla emancipazione femminile, di per sé giusti ma divenuti, nel corso dei successivi decenni, in parte dei meri prodotti conformistici. Il successo in particolare dei prodotti filmografici e della musica pop, in un volgere di due o tre decenni riuscì a colonizzare le masse dell’intera nostra penisola e a distruggere le culture locali che si tramandavano da secoli e neanche i regni sabaudi e fascisti erano riusciti a scalfire. Dobbiamo invece ritenere i governi democristiani complici di quella che lo scrittore e cineasta Pier Paolo Pasolini, già nei primi anni sessanta del Millenovecento, definiva omologazione culturale.

Le generazioni nate nel corso della guerra e successivamente hanno gradualmente cominciato a perdere la cultura (in senso antropologico) dei padri, le tradizioni familiari, gli usi e i costumi, in verità fatalmente sostituiti con gli usi e i costumi più pertinenti ad un nuovo assetto economico e sociale.

Dopo sessant’anni di imperante omologazione l’Italia è finita, è finito il suo autentico folclore e la tradizione umanistica. Sopravvive giuridicamente, peraltro priva di istituzioni che siano capaci di trasmettere i valori civici e il senso della cittadinanza e dello Stato.

Se l’Italia è finita anche gli italiani non esistono più e si è perso l’autentico carattere italiano, improntato sulle culture regionali e formatosi attraverso i secoli da una koiné culturale ereditata dai popoli etruschi e italici, dai latini, dai longobardi e dai vari dominatori che hanno spadroneggiato nella penisola italica dal basso medioevo alla costituzione del regno italo-sabaudo nel 1860.

Se bisogna riconoscere che nell’ultimo decennio la pressione dell’industria culturale statunitense si è un poco allentata i giovani più conformisti presentano tutte le caratteristiche interiori ed esteriori di un giovane americano. I bambini vanno a scuola con gli zainetti, in vece delle cartelle di cuoio; sono incanalati nell’immaginario dai cartoon e ignorano le favole tradizionali e i libri dei grandi autori per ragazzi, come il Pinocchio o il Cuore. Gli adolescenti vanno a passare le serate nei pubs, arredati in stile anglosassone, e in ogni paese si fanno feste della birra, seppellendo in questo modo il ricordo delle trattorie dove si cucinavano pietanze locali, le sagre del vino, la produzione in proprio dello stesso vino e dell’olio. L’immaginario di questi giovani fu colmo per decenni, ed è ancora colmo, di mitologie e divismo anglosassone, da Marilin Monroe alla saga di Harry Potter, da Jim Morrison a lady Gaga, comprendendo conformismo e anticonformismo, genio e sregolatezza. Non voglio dire che la cultura anglosassone sia di basso livello, ma che anche i prodotti mediocri riescono a circolare da noi grazie a buone campagne di persuasione pubblicitaria, e in questo modo riescono, in parte, ad oscurare i prodotti culturali italiani più autentici. I genitori che andavano al lavoro, nelle campagne e nelle città, lasciavano i pargoli in compagnia dei nonni, e questi vecchietti, inconsapevolmente, trasmettevano ai loro nipoti un repertorio di canzoncine, di proverbi, di storie che sono il materiale che forma la cultura della tradizione popolare e contadina. Oggi i bambini vengono lasciati in compagnia di baby sitter straniere, in fuga dalla loro patria e dallo loro originaria cultura. I vecchi non più autosufficienti un tempo vivevano, anche a turnazione, nelle case dei figli e così avevano un’altra occasione per trasmettere i loro valori, mentre oggi vengono relegati in accoglienti case per anziani.

L’Italia è finita, dunque, e gli italiani sono diventati generalmente dei disperati o dei mostri, invidiosi dei beni altrui, rancorosi a causa delle malefatte e dei privilegi di cui gode la classe politica, ma nello stesso tempo vili e cinici, incapaci di agire per il bene comune e di formare circoli di solidarietà. Le famiglie non riescono a vivere più decentemente neanche con due stipendi; i loro figli non hanno futuro senza un lavoro o con lavoretti precari; i giovani bivaccano a tempo indeterminato nelle case dei genitori, con l’aiuto delle pensioni dei padri o dei nonni, e non trovano la forza per reagire collettivamente.

Come nel giugno del 1944, dopo neanche un anno di guerra civile e di bombardamenti alleati che distruggevano le città per impoverire ulteriormente la nazione e renderla dipendente, l’Italia di oggi è un paesaggio distrutto e un cumulo di macerie morali.

Dove sono le fonti d’acqua nelle campagne, i ruscelli limpidi, i paesaggi intatti come nei millenni? La mano vorace dell’uomo è giunta dovunque e ha sconvolto i paesaggi e inquinato le fonti della vita. Dove sono spariti i viali di tigli, di gelsi, di acacie, di pini? Dove trovare le belle piazze italiane, con i portici, le fontane medievali e i monumenti ai personaggi insigni? Tutto è sepolto in un caos di macchine e di cartelli pubblicitari o di divieto. I nuovo centri di aggregazione metropolitana non sono più le congestionate piazze, ma gli spazi e i locali dei centri commerciali. Vi sono località archeologiche e naturalistiche ormai ritornate all’abbandono da decenni.

La civiltà agricola è finita per sempre. I ragazzi dei paesi non sanno più coltivare la terra, gli orti, e avere cura degli animali da cortile; le ragazze non sanno fare più neanche la pasta in casa, le marmellate, i sottoaceti, le conserve di pomodoro. Si servono nei supermercati, ma se la circolazione dei beni dei supermercati si blocca per due settimane, tutti moriremmo di fame. Abbiamo perduto la capacità di fare le cose con le nostre mani, dei lavori artigiali, del cucito, del ricamo, di coltivare i fiori e gli ortaggi. Le grandi fabbriche chiudono e stanno spostando i loro stabilimenti nei paesi più poveri, dove la manodopera e il fisco hanno un costo minore, e coloro che rimangono disoccupati pensano che la cassaintegrazione sia una befana eterna, e non reagiscono, anche perché i Sindacati tutelano solo se stessi. E anche coloro che un lavoro ce l’hanno, a meno che non sia di alto livello, non riescono a risparmiare, e per loro famiglie si prospetta un futuro da moderni schiavi che spendono tutto il loro mensile per mantenersi in vita, senza recriminare per paura di perdere la fonte del loro sostentamento.

Le famiglie popolari italiane nel giro di tre o quattro generazioni saranno tutte sparite, e il loro posto sarà preso dalle famiglie rumene, pakistane, filippine, che già si stanno sostituendo nei campi, nei cantieri, nelle officine, nei portierati dei condomini, nelle custodìe di ville, aprono ditte edili o di commercio, inaugurano negozi o bottegucce commerciali. Forse porteranno qualche ricordo e qualche tradizione della loro terra d’origine, e noi nei mercati non sentiremo più i variegati dialetti d’Italia, ma le lingue incomprensibili della nuova e scalpitante classe popolare straniera; e non esagero se nei quartieri metropolitani si eleveranno alte di tanto in tanto le preghiere dei muezzin.

Rimpiangeremo non solo la ricchezza della nostra cultura popolare, dei canti, delle canzoncine per bambini, dei proverbi, delle originali locuzioni e interiezioni, ma anche la cultura alta, umanistica, quella che ha prodotto i capolavori di Giotto, di Rosai, del Boccaccio, del Poliziano, del Belli, di Marin, di Pasolini, di Zavattini,, tanto per fare dei nomi.

L’Italia è finita, prendiamome atto, non nascondiamo la testa sotto la sabbia. L’Italia è stata ridotta a brandelli da una classe politica e dirigente ladra e corrotta, di destra e di sinistra, nel silenzio per troppo tempo complice dei mass media, delle università, del Vaticano, di un popolino degradato e inerte. Se qualcosa c’è da salvare si faccia subito, i giovani coscienti e volenterosi si mettano in moto, in azione, si organizzino al di fuori dei partiti che conosciamo per dar vita ad un nuovo risorgimento, ad un comitato di liberazione che ci affranchi dagli usurpatori della partitocrazia..

3 commenti:

Anonimo ha detto...

E' una visione un pò pessimistica, ma devo purtroppo ammettere, lucida. Sicuramente l'Italia che conoscevamo stà cambiando rapidamente, ma neanche ce ne accorgiamo. Stà cambiando, per me in peggio, ma è necessario sforzarsi di cambiare prospettiva per cercare il positivo in tutto il negativo che hai descritto. E' dovere delle persone di buona volontà impegnarsi per migliorare la situazione, anche nel piccolo. Non necessariamente con l'impegno ad amministrare i processi della collettività. E' sufficiente agire proponendo il proprio modello di vita, come proposta di testimonianza alla collettività in cui si vive quotidianamente. Non è un arretrare, un abdicare dalle proprie responsabilità sociali, ma un impegno profondo, poco appariscente, ma con la vera forza del cambiamento. Dobbiamo rifiutare i comportamenti che detestiamo ed esprimere esplicitamente censurando ciò che riteniamo non positivo. Ognuno è un esempio che cammina ed ha il compito di contagiare gli altri con il proprio comportamento virtuoso. Per tornare alle cose concrete preso atto di quanto ho detto: ho cominciato a fare l'orto qualche anno fa. Mi sono accorto che per una cosa che ritenevo semplice è necessario avere delle competenze...
La parola d'ordine è cambiamento dal basso. Comportamenti virtuosi dei singoli portano al cambiamento della società.
In America, che ci precede di qualche anno, hanno trovato la strada dei tea party (fenomeno del 1773).
La storia trova sempre la sua strada.
Non disperare Gualdo. Ma non pensare che il cambiaamento dal basso possa essere Grillo. Quello è un cambiamento di spettacolo, cambia il protagonista, il pubblico è sempre quello.
A.T.

Valeria ha detto...

…molti spunti di discussione, forse troppi per poterli esaurire in un breve commento, altrettanti dati di fatto che sono il frutto di un’evoluzione socio-economico-culturale non solo italiana e, senza offesa, qualche stereotipo di troppo. Una riflessione soltanto vorrei fare. Evochi con nostalgia un passato di immagini bucoliche e lo fai usando Internet, il simbolo per eccellenza della modernità e della contemporaneità; lo fai attraverso uno strumento che è ancora più recente nel mondo della comunicazione virtuale come il Blog, o Diario (per non omologarci anche linguisticamente!!). Questo mi porta a credere che l’Italia non è finita, ma che l’Italia è semplicemente cambiata; con tutto quello che ogni cambiamento comporta. Segui il movimento di Grillo, un movimento moderno e innovativo nei mezzi che usa per conoscere la realtà e per farsi conoscere, un movimento da sempre orientato al futuro, alle novità nei campi più diversi; un movimento aperto e proiettato nel mondo globalizzato. Una prova che gli italiani non sono solo e tutti “generalmente disperati…mostri invidiosi e rancorosi”!!!
Le tradizioni, la cultura popolare, il folclore, così come la cultura alta che il nostro Paese ha saputo produrre nei secoli non va rimpianta né mitizzata, perché si piangono i morti e si mitizzano gli eroi. E’ la nostra storia, la base imprescindibile di ogni ammodernamento. Pienamente d’accordo con te se lo sforzo è quello di tenerle vive e di non dimenticarle. La società di oggi è estremamente complessa e articolata e a mio avviso richiede ad ognuno di noi un senso di responsabilità e una capacità di adattamento molto forti, che forse non veniva richiesto ai nostri nonni. Insomma….il motto “era meglio quando era peggio” mi pare davvero semplicistico per interpretare la realtà in cui viviamo! Ci sarebbe ancora molto da dire, ma per ora mi fermo qui. Un’ultima cosa: ci sono ancora le feste del vino e le trattorie; c’è ancora chi sa fare la pasta in casa; i bambini la conoscono ancora la favola di Pinocchio … certo oggi si beve pure la birra, si può andare anche al McDonald o al pub e i bambini possono scegliere tra decine di cartoni animati. Oggi si può e anzi, direi, si deve scegliere e sta nella scelta l’opportunità che abbiamo di migliorare, con tutte le difficoltà che il dover scegliere comporta. Ciao

di gualdo anselmi ha detto...

Per A.T.
La politica dei furbacchioni è quella che dall'alto condiziona a proprio vantaggio il basso, ossia i ceti medi e popolari. Grillo ci prospetta una politica che si auto organizza dal basso per fare gli interesi dei ceti medi e popolari.

Per Valeria
"generalmente disperati, mostri invidiosi e rancorosi" significa che la maggior parte delle persone sono così, e una minor parte sono belle e amabili.
Non ho mai scritto "era mejo quanno se stava peggio" anche se sono portato a pensarlo in modo paradossale.
L'Italia continua senz'altro, ma io rimpiango una Italia del Novecento, che pur con tutti i suoi difetti e limiti, mi sembra più umana di quella che ci si prospetta.